L’art. 37 del d.l. n. 21/2022 – recante “Misure urgenti per contrastare gli effetti economici e umanitari della crisi ucraina”, convertito con modificazioni dalla l. n. 51/2022 e successivamente modificato dall’art. 55 del d.l. n. 50/2022, in corso di conversione – ha introdotto, per l’anno 2022, un contributo a titolo di prelievo solidaristico straordinario, col dichiarato fine “di contenere per le imprese e i consumatori gli effetti dell’aumento dei prezzi e delle tariffe del settore energetico”. Contenere per le imprese e i consumatori gli effetti dell’aumento dei prezzi e delle tariffe del settore energetico. Tale intervento, infatti, si inquadra nelle strategie effettuate dal Governo italiano per fronteggiare i rincari del costo d’acquisto del gas registrati a seguito dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, i quali si traducono in un aumento delle bollette in capo agli utenti finali.
Il contributo straordinario in esame si configura come un’imposta, in quanto si sostanzia in una prestazione patrimoniale coattiva, sancita per legge, che determina una decurtazione del patrimonio dei soggetti passivi senza però costituire il corrispettivo di un rapporto sinallagmatico né il prezzo di un rapporto di cessione di beni o servizi, differenziandosi così dalla nozione di “tassa”.
Extra Profitti
L’imposta istituita dall’art. 37 del d.l. n. 21/2022, pertanto, mira a colpire i profitti straordinari (i cd. “extra-profitti”) derivanti dall’incremento dei prezzi dei prodotti energetici, imponendo agli operatori che avrebbero beneficiato di un tale incremento di prezzi un obbligo di contributo alla spesa preventivata dal Governo a copertura dei sostegni economici varati in favore della collettività.
I soggetti passivi del tributo sono gli esercenti – per la successiva vendita dei relativi beni – le attività di produzione di energia elettrica, di gas metano o di estrazione di gas naturale, di rivendita di tali fonti energetiche, di produzione, distribuzione e commercio di prodotti petroliferi. Il contributo imposto si applica altresì agli importatori dei predetti beni per la successiva rivendita ed ai soggetti che introducono nel territorio dello Stato detti beni provenienti da altri Stati dell’Unione Europea.
Tuttavia, la struttura e la configurazione dell’imposta sugli extra-profitti effettuata dal legislatore italiano si presta a numerosi profili di censura in ordine alla violazione dei principi costituzionali rilevanti in materia, nonché all’inosservanza delle direttive eurounitarie, specie in materia di energia da fonti rinnovabili.
L’irragionevole configurazione del tributo
Innanzitutto, la misura impositiva, così come strutturata dal legislatore, realizza una violazione del principio di capacità contributiva (art. 53 Cost.), dei principi di libertà dell’iniziativa economica (art. 41 Cost.) e di libera concorrenza (art. 117, comma 2, lett e, Cost.).
La base imponibile indicata dall’art. 37, infatti, costituita dall’incremento del saldo tra le operazioni attive e le operazioni passive ai fini IVA del periodo 1° ottobre 2021-30 aprile 2022 risetto al saldo del periodo 1° ottobre 2020-30 aprile 2021, non è idonea a rappresentare il conseguimento di eventuali extra-profitti da parte degli operatori del settore energetico.
Ciò in quanto lo strumento per il calcolo del suddetto saldo è costituito dalle liquidazioni periodiche IVA (c.d. LIPE) in cui confluiscono tutte le operazioni assoggettate ad IVA poste in essere dagli operatori economici (incluse le operazioni finanziarie e quelle operazioni attive frutto dell’esercizio della facoltà di rivalsa delle accise) e non solo quelle afferenti all’attività di cessione di prodotti energetici.
Una tale strutturazione del tributo, pertanto, non consente di verificare in modo certo ed effettivo eventuali extraprofitti derivanti dalla vendita di energia posto che il suo campo di applicazione travolge e si estende in modo indiscriminato all’intero reddito dell’impresa. Al riguardo, la stessa Corte Costituzionale si è espressa, con sentenza n. 10/2015 emessa in relazione ad una fattispecie analoga (la c.d. “Robin Hood tax” ex art. 81, co. 16 del d.l. n. 122/2008), rilevando come «affinché il sacrificio recato ai principi di eguaglianza e di capacità contributiva non sia sproporzionato e la differenziazione dell’imposta non degradi in arbitraria discriminazione, la sua struttura deve coerentemente raccordarsi con la relativa ratio giustificatrice […] In definitiva, il vizio di irragionevolezza è evidenziato dalla configurazione del tributo in esame come maggiorazione di aliquota che si applica all’intero reddito di impresa, anziché ai soli “sovra-profitti”».
Un ulteriore ed evidente profilo di irragionevolezza della misura impositiva prevista dall’art. 37 concerne inoltre la scelta, operata dal legislatore, del parametro temporale funzionale all’individuazione della base imponibile del tributo. Come evidenziato, tale base imponibile – di un’imposta volta, si ricorda, a contrastare l’eccezionale redditività dell’attività svolta in un settore che presenta caratteristiche privilegiate in un particolare momento storico – è costituita dall’incremento del saldo tra operazioni attive e passive registrato nel periodo 1° ottobre 2021-30 aprile 2022, rispetto al saldo tra operazioni attive e passive registrato nel periodo 1° ottobre 2020-30 aprile 2021.
Tuttavia, assumendo a parametro temporale il confronto tra i due periodi sopra evidenziati, il legislatore non ha considerato che il periodo 2020-2021 è stato interamente caratterizzato dall’emergenza sanitaria da COVID-19 e, in particolare, proprio dal suo momento più severo nel corso del quale le attività economiche e produttive erano state sospese ed i consumi energetici hanno subito una significativa contrazione con conseguente impatto sui volumi di affari dei soggetti passivi del tributo. Utilizzare un tale periodo temporale, caratterizzato da un’eccezionale diminuzione dei consumi energetici, quale parametro di riferimento per un eventuale (rectius sicuro) incremento delle attività energetiche nel periodo successivo a tale situazione emergenziale, denota l’irragionevolezza della scelta operata dal legislatore e dunque l’illegittimità della norma impositiva anche sotto questo rilevante profilo.
L’incoerenza delle finalità in materia di rinnovabili
Come anticipato, infine, l’art. 37 del d.l. n. 21/2022 si presta ugualmente a censure laddove include tra i soggetti passivi anche gli operatori del settore dell’energia rinnovabile.
L’aver assoggettato tali operatori allo stesso trattamento impositivo previsto per gli operatori del settore delle fonti fossili risulta infatti in contrasto con la stessa ratio giustificatrice dell’introduzione della norma in esame, la quale ha come suo presupposto l’aumento del prezzo delle fonti fossili di provenienza Russa (innanzitutto gas ma anche petrolio) che si sarebbe ripercosso negativamente in termini di aumento dei prezzi finali dell’energia. In tale contesto, infatti, l’Europa ed il Governo italiano hanno varato importanti misure volte ad accelerare lo sviluppo delle fonti rinnovabili affinché la produzione di energia “verde” potesse aumentare il grado di indipendenza economica del Paese e concorrere alla riduzione dei prezzi dell’energia.
Risulta evidente, a questo punto, l’incoerenza e l’irragionevolezza delle scelte del legislatore che, da un lato, si appella agli operatori del settore dell’energia rinnovabile per uscire dalla crisi energetica e, dall’altro, li assoggetta ad un contributo straordinario nello stesso identico modo rispetto a quanto fatto nei confronti di altri operatori che hanno invece realmente beneficiato dell’incremento dei prezzi del gas e del petrolio.
In altri termini, la misura impositiva in parola, ove estesa ai profitti generati dalla cessione di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili, colpisce le risorse che gli operatori di tale settore potrebbero, invece, destinare a nuovi investimenti configurando, da un lato, un ostacolo alle stesse finalità perseguite dal legislatore (la realizzazione di un sistema di approvvigionamento energetico alternativo alle fonti fossili tradizionali) e, dall’altro, la violazione del principio di favore per le fonti rinnovabili di cui alla normativa internazionale ed eurounitaria (Protocollo di Kyoto, Accordo di Parigi, Direttive 2001/77/CE e 2009/28/CE).
Il tutto senza inoltre considerare la potenziale indebita doppia imposizione gravante sui soli operatori del settore dell’energia rinnovabile che, diversamente dagli operatori del settore fossile, sono assoggettati anche alla diversa ed ulteriore misura del c.d. meccanismo di compensazione a due vie introdotto dall’art. 15-bis del d.l. n. 4/2022, che trova applicazione per lo stesso periodo temporale della misura introdotta dall’art. 37 del d.l. n. 21/2022 (febbraio-dicembre 2022).