Le Comunità Energetiche Rinnovabili (CER), ai sensi dell’articolo 31, comma 1, lettera b) del d.lgs. n. 199/2021, sono soggetti di diritto autonomo, distinti dai propri membri; tale requisito vale a differenziarle dalle configurazioni di autoconsumo collettivo che, ai sensi dell’articolo 30, comma 2 del medesimo decreto, si caratterizzano per la mera associazione di due o più autoconsumatori siti nel medesimo edificio o condominio i quali, al fine di autoprodurre e condividere energia per accedere agli incentivi del Gestore dei Servizi Energetici (GSE), non saranno tenuti a costituire un soggetto giuridico autonomo e da loro differente.
In assenza di una precisa disposizione normativa, eurounitaria o nazionale, volta a disciplinare la forma giuridica ideale delle CER, si assume, pacificamente, che questa possa essere liberamente scelta sulla base delle specifiche esigenze di ciascuna comunità, salvo il necessario rispetto dei requisiti previsti dall’articolo 31, comma 1 del d.lgs. n. 199/2021 e cioè, brevemente, (i) l’assenza di scopo lucrativo, (ii) l’autonomia in termini di direzione e controllo, (iii) la preclusione delle grandi imprese, ovvero, in ogni caso, delle imprese la cui attività commerciale e industriale principale sia la partecipazione alla comunità stessa, (iv) le “porte aperte” all’ingresso e all’uscita dei propri membri.
A tal proposito, secondo l’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (ARERA), ratio del principio della libertà di forma delle CER consiste nella necessità di non comprimerne eccessivamente la flessibilità attraverso l’introduzione di elementi ulteriori a quelli suesposti presenti nella normativa primaria (cfr. Delibera ARERA n. 727/2022/R/eel del 27 dicembre 2022 di approvazione del TIAD – Testo Integrato Autoconsumo Diffuso).
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Ciò posto, si osserva che la costituzione di CER in forma cooperativa risulta piuttosto frequente nell’odierno contesto eurounitario, per le ragioni che di seguito si cercheranno di spiegare.
Lo scopo mutualistico
Innanzitutto, le società cooperative, disciplinate all’interno del Capo I, Titolo VI, Libro V del codice civile (artt. 2511 e ss.) perseguono per definizione uno scopo mutualistico. Ai sensi dell’articolo 2512, comma 1, c.c., lo scopo mutualistico si considera prevalente se le cooperative (i) svolgono la loro attività prevalentemente in favore dei soci, fornendo loro beni o servizi a condizioni più vantaggiose rispetto a quelle di mercato; (ii) si avvalgono prevalentemente, nello svolgimento della loro attività, delle prestazioni lavorative dei soci, ovvero (iii) si avvalgono prevalentemente, nello svolgimento della loro attività, degli apporti di beni o servizi da parte dei soci. Con riferimento allo specifico caso delle CER cooperative, esse sono sempre qualificabili almeno come “cooperative di produzione” (v. punto iii) qualora si limitino a realizzare la condivisione di energia rinnovabile, pur essendo altresì ammissibili cooperative miste, cioè caratterizzate da più tipi di scambi mutualistici.
La democraticità
Inoltre, dal punto di vista della governance, il modello cooperativo garantisce una gestione diffusa tra i soci attraverso il meccanismo del voto capitario, per cui ciascun socio cooperatore ha diritto a un voto “qualunque sia il valore della quota o il numero delle azioni possedute”, ai sensi dell’articolo 2538 c.c., con poche e limitate eccezioni (cfr. il comma 3 del medesimo articolo, ai sensi del quale i soci cooperatori persone giuridiche possono avere più voti, ma non oltre cinque in relazione all’ammontare della quota oppure al numero dei loro membri, così come l’articolo 2526, comma 2, c.c., ai sensi del quale i soci sovventori non possono in ogni caso avere più di un terzo dei voti spettanti all’insieme dei soci presenti, ovvero rappresentati, in ciascuna assemblea generale).
Oltre alla regola del voto capitario, altra declinazione del principio di democraticità che caratterizza il modello cooperativo consiste nell’istituto delle c.d. “assemblee separate”, che stimola la partecipazione dei soci alla vita dell’ente, soprattutto nel caso in cui lo stesso svolga la propria attività in più ambiti territoriali. Infatti, si segnala che ai sensi dell’articolo 2540, comma 2, c.c., l’istituto delle assemblee separate può, e deve, essere previsto quando la società abbia almeno tremila soci e svolga la propria attività in più province, ovvero almeno cinquecento soci e realizzi più gestioni mutualistiche.
Le “porte aperte”
In più, le società cooperative presentano una configurazione “a porte aperte”, tipica degli schemi societari “a capitale variabile”, il che comporta un’assoluta flessibilità nell’ingresso, in ogni momento, di nuovi soci, senza che ciò richieda la necessità di modifiche statutarie di aumento di capitale; il numero di soci (siano essi veri e propri cooperatori, o meri sovventori) può essere altresì potenzialmente illimitato.
La società cooperativa, in virtù delle suddette caratteristiche, appare certamente un modello rispondente ai principi sottesi allo schema delle CER, con particolare riferimento alle prevalenti finalità mutualistiche, all’organizzazione democratica atta a garantire un elevato livello di partecipazione dei membri alla vita e gestione amministrativa della comunità, nonché alla facilità di ingresso dei propri soci.
I costi ridotti
L’adozione di tale forma giuridica comporta, altresì, il vantaggio di presentare delle spese di costituzione e, in particolare, di capitalizzazione non particolarmente elevate; invero, per la costituzione di una cooperativa occorrerà sostenere i costi relativi agli adempimenti iniziali (costi notarili per la redazione dell’atto pubblico costitutivo e costi di iscrizione al Registro delle imprese e all’Albo nazionale istituito presso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy), nonché una spesa, ad oggi irrisoria, per dotare la cooperativa di un capitale minimo di costituzione pari ad Euro 25,82 per ogni singola quota o azione detenuta da ciascun socio (cfr. articolo 3, comma 3, l. n. 59/1992, da intendersi modificato, quanto alla conversione Lire-Euro del valore nominale della singola quota/azione, ai sensi dell’articolo 4, comma 1, d.lgs. n. 213/1998).
La distribuzione degli utili
Nonostante la società cooperativa sia caratterizzata da alcune restrizioni al lucro soggettivo (cfr. articolo 2514 c.c. per le cooperative a mutualità prevalente e articolo 2545-quinquies c.c. per le altre cooperative), tali limiti non valgono ad ostacolare il meccanismo di ripartizione degli utili tra i soci da parte della eventuale CER cooperativa sottoforma di incentivi economici ricevuti dal GSE in ragione dell’attività di condivisione dell’energia. Infatti, tale distribuzione potrebbe, ad esempio, avvenire proporzionalmente alla quantità e alla qualità degli scambi mutualistici (dunque proporzionalmente ai consumi e/o alla produzione di energia) dei soci secondo la logica dei ristorni (cfr. articolo 2545-sexies c.c.). Pertanto, il fatto che tale forma giuridica ammetta il contestuale perseguimento del (prevalente) scopo mutualistico e del (secondario) scopo lucrativo, consente di superare agevolmente qualsivoglia problematica in tema di distribuzione degli utili che, di contro, si pone con riferimento ad altre forme giuridiche (si pensi, ad esempio, alle associazioni o alle fondazioni, per loro natura caratterizzate dall’assenza di scopi lucrativi).
In più, si osserva che qualora la CER cooperativa optasse per una qualificazione in termini di Ente del Terzo Settore (ETS) in forma di impresa sociale disciplinata dal d.lgs. n. 112/2017, nemmeno in tal caso si porrebbe la problematica della distribuzione degli utili/contributi erogati dal GSE, ciò anche alla luce della recente Risoluzione n. 37/2024 dell’Agenzia delle Entrate con cui si è affermato che la restituzione delle somme da parte di una CER costituita nella forma di ETS ai propri associati non costituisce aggiramento del principio di divieto di distribuzione degli utili di cui agli articoli 8 del d.lgs. n. 117/2017 (Codice del Terzo Settore) e 3 del d.lgs. n. 112/2017, di analogo contenuto.
Alcuni limiti e questioni controverse
Di contro, alcuni possibili limiti e questioni controverse connesse alla scelta di tale forma giuridica si riscontrano:
- nella regola del numero minimo di soci: ai sensi dell’articolo 2522 c.c., per costituire una cooperativa è necessario che i soci siano almeno nove (tre quando i medesimi sono persone fisiche e la società adotta le norme della società a responsabilità limitata) e, qualora successivamente alla costituzione il numero dei soci dovesse scendere al di sotto del numero minimo, i soci dovranno essere reintegrati nel termine massimo di un anno, pena lo scioglimento e la liquidazione della società;
- nel disposto di cui all’articolo 2532, comma 1, c.c. per cui il socio cooperatore può recedere dalla società nei casi previsti dalla legge e dall’atto costitutivo; tuttavia, il carattere aperto e fluido della CER dovrebbe manifestarsi altresì “in uscita” prevedendo, l’articolo 32, comma 1, lettera b) del d.lgs. n. 199/2021, che i clienti finali organizzati in una CER possano “recedere in ogni momento dalla configurazione di autoconsumo, fermi restando eventuali corrispettivi concordati in caso di recesso anticipato”. Senonché, a tale ostacolo sarà pur sempre possibile ovviare prevedendo statutariamente il recesso ad nutum del socio cooperatore;
- relativamente al tema della eventuale partecipazione di una pubblica amministrazione ad una società cooperativa: l’articolo 5 del d.lgs. n. 175/2016 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica – TUSP) prevede che l’atto deliberativo di acquisto di partecipazioni, anche indirette, da parte di pubbliche amministrazioni in società già costituite deve essere analiticamente motivato, anche con riferimento alla convenienza economica e alla sostenibilità finanziaria di tale operazione. L’atto deliberativo deve poi essere trasmesso all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e alla Corte dei conti che delibera, entro il termine di sessanta giorni dal ricevimento, in ordine alla compatibilità dell’operazione con la normativa vigente. Qualora la Corte dei conti non si pronunci entro il suddetto termine, l’amministrazione potrà procedere all’acquisto della partecipazione; in caso, invece, di parere in tutto o in parte negativo, qualora l’amministrazione intenda procedere egualmente, sarà tenuta a motivarne analiticamente le ragioni dandone pubblicità sul proprio sito istituzionale. Inoltre, ai sensi dell’articolo 17 del TUSP, nel caso di società a partecipazione mista pubblico-privata, la scelta del socio privato deve avvenire nelle forme dell’evidenza pubblica. Pertanto, alla luce del contesto normativo nazionale sopra brevemente sintetizzato, non risulta particolarmente agevole per gli enti locali detenere quote in società, anche se nella forma cooperativa; ciononostante, si segnala che la Corte dei conti, Sezione Friuli-Venezia Giulia, con Deliberazione FVG/52/2023/PASP, ha recentemente valutato in modo positivo una deliberazione di consiglio comunale con la quale l’ente territoriale (in specie, il Comune di Fontanafredda) ha disposto di associarsi alla CER cooperativa locale mediante l’acquisto di una quota azionaria pari ad Euro 25.